Un fantasma chiamato “Servìtula cita”
Servìtula cita, o Süetta cita, non è altri che la Civetta nana (Glaucidium passerinum, Linnaeus 1758) in dialetto Piemontese.
Per me questo animale rientra tra le specie messaggere dell’anima delle Alpi. Elusiva e misteriosa, contraddistinta da una confidenza che ne trasmette fierezza e sicurezza. Difficile da osservare senza una discreta conoscenza della sua biologia e del territorio in cui ci si muove. E’ uno tra i più piccoli predatori delle foreste di conifere ed è sicuramente il predatore più temuto e rispettato dai passeriformi. Può vivere oltre i 2000 m di quota, su versanti freddi ed esposti a nord, con condizioni climatiche invernali tutt’altro che banali. Alta solo 15 cm e con una apertura alare di 30 cm, la civetta nana può predare uccelli anche di pari dimensioni come il ciuffolotto (Pyrrhula pyrrhula).
Sul campo, dal campo (56) / 18-apr-‘13
“[…] Nel pomeriggio un gipeto adulto prende termica sopra la sede operativa del parco (“Huston” per i ricercatori). Verso sera cerchiamo la nana […], giro tra camosci e ultime nevi. Dopo vari tentativi e qualche centinaio di metri più in alto, eccola! Un po’ disorientata e stupita dai miei (pessimi) fischi […]”
Dopo una giornata “alienante” di laboratorio (mi capiranno i colleghi o gli appassionati che hanno avuto a che fare con lavori di morfometria sui coleotteri) decidiamo di andare a fare due passi, per non perdere l’abitudine e per non dimenticarci che là fuori c’è una natura sempre pronta a stupirci. Visto il periodo decidiamo di tentare qualche notturno, l’orario e il luogo prescelti fanno ben sperare per la nana. Un po’ di pazienza ed ecco che alla fine delle nostre speranze e, ahimè, della luce, la scorgiamo. Immobile e fiera. Probabilmente ci stava osservando ormai da una decina di minuti. Un fantasma comparso dal nulla. Non un fruscio, un movimento o altro ci hanno rivelato il suo arrivo, silenziosa e sicura come solo un vero predatore sa fare.
La luce è ormai scarsissima e sono senza cavalletto, sfrutto l’occasione di un suo spostamento che termina contro cielo, sulla sommità di un abete. Mi basta spostarmi di poco per comporre tra le fronde, mi siedo sulla neve, obiettivo sulle ginocchia e imposto la macchina (iso, tempi e diaframmi) al limite del mosso.